Amaro SestoSenso
Intuition Spirit
Le Origini
Ci sono persone e situazioni che, per quanto non facciano più’ parte del nostro presente, ci cambiano completamente, al punto che, in qualche modo, faranno sempre parte di noi. Mio nonno diceva sempre che se hai l’intuizione di dover fare qualcosa, allora e’ il momento di farla. ‘’L’universo ci manda infiniti segnali, dobbiamo solo riuscire a coglierli’’. Sono cresciuto con una storia, questa storia, tanto strana quanto misteriosa, pensando che un giorno, forse, tutto avrebbe avuto un senso.
Come tutti i giorni per oltre 40 anni, il Falegname se ne stava nella sua bottega assorto tra i pensieri e impegnato a costruire mobili d’arte per i ricchi dell’epoca. Era una sera di inizio inverno, come tanti altri passati in quello che era il suo mondo, la vecchia stufa accesa, la luce fioca dei neon ricoperti di polvere, il rumore del silenzio violato dallo stridio delle macchine e dalle gocce di pioggia che battevano sui vetri e sulle porte fatte in lamiera.
Quel falegname era mio babbo.
Sentì’ bussare.
Non era cosa usuale ricevere visite in laboratorio, tant’è’ che inizialmente pensò’ di averlo immaginato, oltretutto con quella giornata fredda e piovosa. I colpi però’ ben presto si ripeterono, così’ decise di andare ad aprire. Accennò’ a un sorriso, davanti a lui c’era una ragazza di circa trent’anni che educatamente si fermò’ sulla soglia della porta ormai allagata dal maltempo.
Le Origini
Ci sono persone e situazioni che, per quanto non facciano più’ parte del nostro presente, ci cambiano completamente, al punto che, in qualche modo, faranno sempre parte di noi. Mio nonno diceva sempre che se hai l’intuizione di dover fare qualcosa, allora e’ il momento di farla. ‘’L’universo ci manda infiniti segnali, dobbiamo solo riuscire a coglierli’’. Sono cresciuto con una storia, questa storia, tanto strana quanto misteriosa, pensando che un giorno, forse, tutto avrebbe avuto un senso.
Come tutti i giorni per oltre 40 anni, il Falegname se ne stava nella sua bottega assorto tra i pensieri e impegnato a costruire mobili d’arte per i ricchi dell’epoca. Era una sera di inizio inverno, come tanti altri passati in quello che era il suo mondo, la vecchia stufa accesa, la luce fioca dei neon ricoperti di polvere, il rumore del silenzio violato dallo stridio delle macchine e dalle gocce di pioggia che battevano sui vetri e sulle porte fatte in lamiera.
Quel falegname era mio babbo.
Sentì’ bussare.
Non era cosa usuale ricevere visite in laboratorio, tant’è’ che inizialmente pensò’ di averlo immaginato, oltretutto con quella giornata fredda e piovosa. I colpi però’ ben presto si ripeterono, così’ decise di andare ad aprire. Accennò’ a un sorriso, davanti a lui c’era una ragazza di circa trent’anni che educatamente si fermò’ sulla soglia della porta ormai allagata dal maltempo.
Aveva l’accento del posto,
ma lui non l’aveva mai vista prima, eppure in lei c’era un che di familiare. Disse che nella casa dove viveva, proprio vicino alla bottega del falegname, si era rotta una finestra e, vista la situazione, aveva bisogno che qualcuno la riparasse velocemente. Nonostante l’ora e le perplessità’, decise di assecondare la giovane donna. Si diressero verso la vecchia villa, a poche decine di metri dalla falegnameria. Una volta entrati, la ragazza lo accompagnò’ in una grande stanza piena di antichi libri polverosi e chincaglierie di ogni genere e si avvicinò’ alla mal ridotta finestra. La pioggia battente non impedì’ al falegname di notare da una prospettiva del tutto nuova la sua amata bottega, un umile cantiere, pieno di legna, ricordi e sacrifici di una vita.
Da anni, ogni giorno, passava davanti a quella villa. Le sue finestre pericolanti, sempre chiuse, erano suggestione di ombre e biechi rumori per quasi tutti gli abitanti della zona.
In Val Graziosa, a Calci, piccolo paese alle pendici del Monte Pisano e patria dell’imponente Certosa, antiche leggende si tramandavano di generazione in generazione.
Racconti che, sui muretti del borgo, alimentavano le notti dei giovani di quei tempi.
Aveva l’accento del posto,
ma lui non l’aveva mai vista prima, eppure in lei c’era un che di familiare. Disse che nella casa dove viveva, proprio vicino alla bottega del falegname, si era rotta una finestra e, vista la situazione, aveva bisogno che qualcuno la riparasse velocemente. Nonostante l’ora e le perplessità’, decise di assecondare la giovane donna. Si diressero verso la vecchia villa, a poche decine di metri dalla falegnameria. Una volta entrati, la ragazza lo accompagnò’ in una grande stanza piena di antichi libri polverosi e chincaglierie di ogni genere e si avvicinò’ alla mal ridotta finestra. La pioggia battente non impedì’ al falegname di notare da una prospettiva del tutto nuova la sua amata bottega, un umile cantiere, pieno di legna, ricordi e sacrifici di una vita.
Da anni, ogni giorno, passava davanti a quella villa. Le sue finestre pericolanti, sempre chiuse, erano suggestione di ombre e biechi rumori per quasi tutti gli abitanti della zona.
In Val Graziosa, a Calci, piccolo paese alle pendici del Monte Pisano e patria dell’imponente Certosa, antiche leggende si tramandavano di generazione in generazione.
Racconti che, sui muretti del borgo, alimentavano le notti dei giovani di quei tempi.
Il falegname
decise di provare ad aggiustare la finestra. Mentre cercava di ripararla al meglio, il suo stato d’animo era inusualmente agitato. Una strana sensazione occupava i suoi pensieri, come se quell’ambiente già’ lo conoscesse, come se quegli istanti li avesse già’ vissuti. Portò velocemente a termine il lavoro ma, inspiegabilmente, sentiva che non era ancora il momento di andare via.
Circondato da tutti quei vecchi libri che trasudavano di antiche storie e riempivano ogni spazio, iniziò lentamente a raccogliere i propri attrezzi e proprio allora la sua attenzione fu’ catturata da un oggetto che giaceva a terra, accanto al suo fedele scalpello: era un’antica e rugginosa chiave, spezzata in due. Impallidì. Lui quella chiave la conosceva benissimo, ne aveva una identica in bottega, custodita nel cassetto dei ricordi e degli oggetti inutili. Era stata conservata, probabilmente da generazioni, perché’ aveva una forma particolare e, magari, nella speranza che un giorno avrebbe aperto qualcosa che potesse dare un senso alla propria esistenza.
L’avevano sempre incuriosito, oltre alla forma, lo stemma centrale raffigurante una corona e la sigla incisa alla base, la quale riportava un numero romano ed un tre: I/3.
La chiave della villa si differenziava dalla sua unicamente per il diverso numero romano, ovvero tre anziché uno: III/3. Da buon artigiano, ma soprattutto da buon osservatore, non poté’ fare a meno di notare che la chiave cilindrica era vuota al suo interno, cosa abbastanza singolare per gli usi dell’epoca.
Cercò la ragazza per chiederle le origini di quello strumento, come pure per dirle che il lavoro era completato e che non ci sarebbe stato bisogno di nessun compenso, ma di lei non c’era più nessuna traccia.
Quasi tutte le stanze apparivano socchiuse, la polvere era adagiata sulle maniglie dorate delle porte, come se nessuna mano le avesse più sfiorate da anni.
Nel frattempo il temporale si era calmato, lasciando spazio alle stelle che iniziavano a brillare sul far della sera.
Decise di allontanarsi senza ulteriori ricerche, con l’intenzione di ripassare nei giorni seguenti.
Il falegname
decise di provare ad aggiustare la finestra. Mentre cercava di ripararla al meglio, il suo stato d’animo era inusualmente agitato. Una strana sensazione occupava i suoi pensieri, come se quell’ambiente già’ lo conoscesse, come se quegli istanti li avesse già’ vissuti. Portò velocemente a termine il lavoro ma, inspiegabilmente, sentiva che non era ancora il momento di andare via.
Circondato da tutti quei vecchi libri che trasudavano di antiche storie e riempivano ogni spazio, iniziò lentamente a raccogliere i propri attrezzi e proprio allora la sua attenzione fu’ catturata da un oggetto che giaceva a terra, accanto al suo fedele scalpello: era un’antica e rugginosa chiave, spezzata in due. Impallidì. Lui quella chiave la conosceva benissimo, ne aveva una identica in bottega, custodita nel cassetto dei ricordi e degli oggetti inutili. Era stata conservata, probabilmente da generazioni, perché’ aveva una forma particolare e, magari, nella speranza che un giorno avrebbe aperto qualcosa che potesse dare un senso alla propria esistenza.
L’avevano sempre incuriosito, oltre alla forma, lo stemma centrale raffigurante una corona e la sigla incisa alla base, la quale riportava un numero romano ed un tre: I/3.
La chiave della villa si differenziava dalla sua unicamente per il diverso numero romano, ovvero tre anziché uno: III/3. Da buon artigiano, ma soprattutto da buon osservatore, non poté’ fare a meno di notare che la chiave cilindrica era vuota al suo interno, cosa abbastanza singolare per gli usi dell’epoca.
Cercò la ragazza per chiederle le origini di quello strumento, come pure per dirle che il lavoro era completato e che non ci sarebbe stato bisogno di nessun compenso, ma di lei non c’era più nessuna traccia.
Quasi tutte le stanze apparivano socchiuse, la polvere era adagiata sulle maniglie dorate delle porte, come se nessuna mano le avesse più sfiorate da anni.
Nel frattempo il temporale si era calmato, lasciando spazio alle stelle che iniziavano a brillare sul far della sera.
Decise di allontanarsi senza ulteriori ricerche, con l’intenzione di ripassare nei giorni seguenti.
La notte
del falegname trascorse con molte turbolenze, come se quel temporale si fosse placato perché trasferitosi dentro di lui. Avvertiva ancora la stessa inquietudine che aveva provato in quel tardo pomeriggio mista alla certezza di essere stato nel posto “giusto”, con l’incessante pensiero che qualcosa ancora mancava.
Lasciò’ trascorrere i giorni senza tornare alla villa, un po’ per gli impegni di lavoro e un po’, forse, per paura di sapere. Sembrava un’idea insensata, eppure il suo sesto senso gli suggeriva di provare a completare il disegno che si era creato nella sua mente.
Aprì il cassetto degli oggetti inutili e, rovistando tra la ferraglia rugginosa, prese la chiave che era in suo possesso. Con un gesto istintivo la spezzò. Non fu’ molto difficile, la ruggine aveva corroso e indebolito il vecchio metallo che cedette alla prima sollecitazione.
La chiave era cava come quella trovata nella biblioteca della villa, solo che non era vuota. Ai suoi piedi cadde infatti un foglietto arrotolato, che sembrava una piccola pergamena. Col cuore in gola, srotolò delicatamente quella carta ingiallita dal tempo. In cima al foglio era raffigurato lo stesso strumento in tutto il suo splendore, quello che lui non aveva mai conosciuto, quello dei migliori tempi passati.
Di fianco, in evidenza, era riportata la sigla dell’incisione, che a questo punto iniziava ad avere un senso: la sua chiave era la prima di tre esemplari, quella trovata nella villa era la terza e probabilmente l’ultima delle tre.
Continuò a scorrere con lo sguardo la piccola pergamena e con piacevole sorpresa capì che si trattava di un’antica ricetta: erano nel dettaglio gli ingredienti di un infuso di alcool ed erbe che lui conosceva molto bene. L’espressione del suo volto diventò malinconica, si rese ben presto conto che non erano più gli occhi a comandare la sua vista ma le sue memorie: quell’antica ricetta era l’amato amaro di suo babbo, mio nonno. I pensieri volarono subito a quei momenti meravigliosi che avevano costituito la sua infanzia. In un istante rivide suo padre intorno al fuoco raccontare storie di vita, mentre lo ammirava sorseggiare il suo amaro e assaporarne i profumi; riecheggiavano nella sua mente quelle parole che così tante volte gli aveva detto: “un giorno ti racconterò una storia fantastica e ti insegnerò i segreti del nostro amaro”.
Evitava sempre di dire dove veniva fatto o come avesse ricevuto quella ricetta, “ora no” rispondeva sempre.
Rimase ancora più incredulo quando si asciugò le lacrime che stavano solcando il suo volto ormai rugoso: si rese conto che le sue mani profumavano di arancia.
Lui quell’amaro non lo aveva mai assaggiato, era troppo piccolo all’epoca per bere liquori, ne aveva soltanto potuto sentire la fragranza e aveva potuto vedere la soddisfazione di suo babbo, assorto mentre delicatamente agitava il bicchiere di quel liquido color ambrato, dai riflessi arancio, di cui era tanto innamorato. Il profumo dell’arancia amara mio babbo non se lo sarebbe mai dimenticato. Suggestione o no era tornato indietro di 70 anni.
La notte
del falegname trascorse con molte turbolenze, come se quel temporale si fosse placato perché trasferitosi dentro di lui. Avvertiva ancora la stessa inquietudine che aveva provato in quel tardo pomeriggio mista alla certezza di essere stato nel posto “giusto”, con l’incessante pensiero che qualcosa ancora mancava.
Lasciò’ trascorrere i giorni senza tornare alla villa, un po’ per gli impegni di lavoro e un po’, forse, per paura di sapere. Sembrava un’idea insensata, eppure il suo sesto senso gli suggeriva di provare a completare il disegno che si era creato nella sua mente.
Aprì il cassetto degli oggetti inutili e, rovistando tra la ferraglia rugginosa, prese la chiave che era in suo possesso. Con un gesto istintivo la spezzò. Non fu’ molto difficile, la ruggine aveva corroso e indebolito il vecchio metallo che cedette alla prima sollecitazione.
La chiave era cava come quella trovata nella biblioteca della villa, solo che non era vuota. Ai suoi piedi cadde infatti un foglietto arrotolato, che sembrava una piccola pergamena. Col cuore in gola, srotolò delicatamente quella carta ingiallita dal tempo. In cima al foglio era raffigurato lo stesso strumento in tutto il suo splendore, quello che lui non aveva mai conosciuto, quello dei migliori tempi passati.
Di fianco, in evidenza, era riportata la sigla dell’incisione, che a questo punto iniziava ad avere un senso: la sua chiave era la prima di tre esemplari, quella trovata nella villa era la terza e probabilmente l’ultima delle tre.
Continuò a scorrere con lo sguardo la piccola pergamena e con piacevole sorpresa capì che si trattava di un’antica ricetta: erano nel dettaglio gli ingredienti di un infuso di alcool ed erbe che lui conosceva molto bene. L’espressione del suo volto diventò malinconica, si rese ben presto conto che non erano più gli occhi a comandare la sua vista ma le sue memorie: quell’antica ricetta era l’amato amaro di suo babbo, mio nonno. I pensieri volarono subito a quei momenti meravigliosi che avevano costituito la sua infanzia. In un istante rivide suo padre intorno al fuoco raccontare storie di vita, mentre lo ammirava sorseggiare il suo amaro e assaporarne i profumi; riecheggiavano nella sua mente quelle parole che così tante volte gli aveva detto: “un giorno ti racconterò una storia fantastica e ti insegnerò i segreti del nostro amaro”.
Evitava sempre di dire dove veniva fatto o come avesse ricevuto quella ricetta, “ora no” rispondeva sempre.
Rimase ancora più incredulo quando si asciugò le lacrime che stavano solcando il suo volto ormai rugoso: si rese conto che le sue mani profumavano di arancia.
Lui quell’amaro non lo aveva mai assaggiato, era troppo piccolo all’epoca per bere liquori, ne aveva soltanto potuto sentire la fragranza e aveva potuto vedere la soddisfazione di suo babbo, assorto mentre delicatamente agitava il bicchiere di quel liquido color ambrato, dai riflessi arancio, di cui era tanto innamorato. Il profumo dell’arancia amara mio babbo non se lo sarebbe mai dimenticato. Suggestione o no era tornato indietro di 70 anni.
Decise che era il momento
di ripresentarsi alla vecchia villa, voleva scusarsi con la ragazza per essersene andato senza avvisare e per parlarle della sua scoperta. Avrebbe voluto sapere che cosa conteneva la chiave III/3 trovata in biblioteca e avrebbe voluto cercare la chiave numero II.
Bussò’ al portone e in poco tempo arrivò’ un uomo alto, non giovanissimo, con degli enormi baffi e un mazzo di chiavi arruffate; non gli sembrava di averlo visto il giorno che aveva conosciuto la ragazza. “Sono venuto per scusarmi con la signora e per raccontarle una strana storia”, disse il falegname.
L’uomo lo guardò scettico, gli disse che probabilmente aveva sbagliato casa; la villa era disabitata da anni e soltanto lui, periodicamente, passava di lì per verificare che tutto fosse in ordine. Il falegname rimase in silenzio per qualche attimo, rendendosi conto di non essere poi così sorpreso, sorrise e educatamente si scusò salutando il vecchio custode.
Non era riuscito a trovare risposta a nessuna delle sue domande. I suoi quesiti probabilmente sarebbero rimasti per sempre avvolti nel mistero.
Mio nonno purtroppo non ebbe il tempo di raccontare la sua storia e di quell’amaro furono perse le tracce. Lasciò soltanto un vecchio quaderno scritto in “toscanaccio”, volutamente enigmatico, dove in dialetto paesano dell’epoca parlava del suo infuso, senza però svelarne la ricetta o la precisa provenienza; narrava delle sbornie dei personaggi di spicco di quei tempi, raccontava la storia d’amore tra un uomo e una donna. Purtroppo gran parte di quegli scritti e di quelle pagine sono andate perse negli anni, ma siamo riusciti a ricavarne degli estratti e li abbiamo riportati sulla nostra etichetta. Seguendo il mistero che avvolge tutta la storia, abbiamo deciso di non renderli leggibili a occhio nudo.
Decise che era il momento
di ripresentarsi alla vecchia villa, voleva scusarsi con la ragazza per essersene andato senza avvisare e per parlarle della sua scoperta. Avrebbe voluto sapere che cosa conteneva la chiave III/3 trovata in biblioteca e avrebbe voluto cercare la chiave numero II.
Bussò’ al portone e in poco tempo arrivò’ un uomo alto, non giovanissimo, con degli enormi baffi e un mazzo di chiavi arruffate; non gli sembrava di averlo visto il giorno che aveva conosciuto la ragazza. “Sono venuto per scusarmi con la signora e per raccontarle una strana storia”, disse il falegname.
L’uomo lo guardò scettico, gli disse che probabilmente aveva sbagliato casa; la villa era disabitata da anni e soltanto lui, periodicamente, passava di lì per verificare che tutto fosse in ordine. Il falegname rimase in silenzio per qualche attimo, rendendosi conto di non essere poi così sorpreso, sorrise e educatamente si scusò salutando il vecchio custode.
Non era riuscito a trovare risposta a nessuna delle sue domande. I suoi quesiti probabilmente sarebbero rimasti per sempre avvolti nel mistero.
Mio nonno purtroppo non ebbe il tempo di raccontare la sua storia e di quell’amaro furono perse le tracce. Lasciò soltanto un vecchio quaderno scritto in “toscanaccio”, volutamente enigmatico, dove in dialetto paesano dell’epoca parlava del suo infuso, senza però svelarne la ricetta o la precisa provenienza; narrava delle sbornie dei personaggi di spicco di quei tempi, raccontava la storia d’amore tra un uomo e una donna. Purtroppo gran parte di quegli scritti e di quelle pagine sono andate perse negli anni, ma siamo riusciti a ricavarne degli estratti e li abbiamo riportati sulla nostra etichetta. Seguendo il mistero che avvolge tutta la storia, abbiamo deciso di non renderli leggibili a occhio nudo.
Il nostro amaro nasce così,
dalla suggestiva vicenda di una ricetta trovata all’interno di una chiave, perfezionata e riadattata ai nostri tempi.
Grazie alla combinazione di spezie, erbe officinali, botaniche e all’arancia amara siamo riusciti a ottenere quello che per mio nonno e non solo era l’amaro più buono del mondo.
Questa miscela di alchimia e intuizione hanno fatto sì che potessimo chiamarlo in un solo modo: SestoSenso.
Così eccoci oggi a invitarvi a sorseggiare SestoSenso, una bevanda che richiama ricordi e misteri, dal gusto di arancia amara.
Evoca serate passate davanti al camino a raccontarsi storie, ha il gusto di momenti trascorsi con gli amici di una vita, appartiene a quel mondo ordinario che, quando non fa più parte del nostro quotidiano, ci fa rendere conto di essere straordinario.
Sa di quella magia apparentemente inspiegabile attraverso la ragione.
Sa di SestoSenso.
Il nostro amaro nasce così,
dalla suggestiva vicenda di una ricetta trovata all’interno di una chiave, perfezionata e riadattata ai nostri tempi.
Grazie alla combinazione di spezie, erbe officinali, botaniche e all’arancia amara siamo riusciti a ottenere quello che per mio nonno e non solo era l’amaro più buono del mondo.
Questa miscela di alchimia e intuizione hanno fatto sì che potessimo chiamarlo in un solo modo: SestoSenso.
Così eccoci oggi a invitarvi a sorseggiare SestoSenso, una bevanda che richiama ricordi e misteri, dal gusto di arancia amara.
Evoca serate passate davanti al camino a raccontarsi storie, ha il gusto di momenti trascorsi con gli amici di una vita, appartiene a quel mondo ordinario che, quando non fa più parte del nostro quotidiano, ci fa rendere conto di essere straordinario.
Sa di quella magia apparentemente inspiegabile attraverso la ragione.
Sa di SestoSenso.